L'attività fisica può migliorare le cure per tumore testa collo
Primo studio in Italia con l'arruolamento di 60 pazienti
Ogni anno in Italia sono quasi 10 mila le nuove diagnosi di tumore testa e collo, secondo il rapporto Airtum 2020, di cui 7.300 maschi e 2.600 femmine, posizionandosi al quinto posto in Italia per frequenza. Si tratta di una forma tumorale che colpisce bocca, gola, laringe (corde vocali), faringe, e che proprio per le sedi in cui si manifesta rappresenta un problema non solo clinico ma anche sociale importante, per la delicatezza delle funzioni degli organi compromessi e per l'impatto che ha sulla vita sociale dei pazienti. L'approccio terapeutico per i tumori testa e collo può essere chirurgico o radio/chemioterapico, con un'aspettativa di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi del 57% nei maschi e 58% nelle donne. L'Unità Operativa di Oncologia Medica dell'Irccs Maugeri Pavia, sotto la guida della professoressa Laura Locati, ha avviato un progetto di ricerca finanziato con fondi Pnrr che vede coinvolti anche l'Ospedale Universitario di Sassari, la Fondazione Policlinico San Matteo, Cnao e l'Istituto dei Tumori Pascale di Napoli. Oggetto dello studio è verificare come l'attività fisica personalizzata e supervisionata da un chinesiologo esperto di attività motoria preventiva, associata a supporto nutrizionale e psicologico, influiscono sulla risposta alle terapie nei pazienti con tumore testa e collo candidati al trattamento curativo chirurgico e chemio-radioterapico. Si tratta del primo studio di questo tipo in Italia, che prevede attività fisica personalizzata sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente, svolta all'interno delle palestre messe a disposizione da Ircc Maugeri Pavia e supervisionata da un chinesiologo dedicato. Il progetto, della durata di due anni, conta di arruolare in tutto 30 pazienti candidati alla chirurgia e 30 con indicazione al trattamento di chemio-radioterapia, che abbiano ricevuto una diagnosi di carcinoma squamoso del distretto testa-collo guaribile. I pazienti arruolati saranno sottoposti alla preabilitazione nelle strutture che partecipano al progetto per poi essere trattati nei rispettivi ospedali di provenienza. In questo modo, spiega la professoressa Locati, "vogliamo indagare l'efficacia di percorsi di preabilitazione sulla riduzione dell'intensità degli effetti collaterali dei trattamenti e sulla migliore risposta del sistema immunitario alle terapie". L'approccio segna un'inversione di paradigma: "se una volta si pensava che il paziente dovesse stare a riposo per arrivare all'intervento chirurgico nelle migliori condizioni fisiche, oggi - chiarisce la ricercatrice - sappiamo che questo risultato si ottiene con un'adeguata preparazione fisica e psicologica che ponga il paziente in condizione di rispondere al meglio alle terapie".
J.Ayala--TFWP